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venerdì 22 gennaio 2016

"On writing - Autobiografia di un mestiere" - Stephen King

TITOLO: On writing
AUTORE: Stephen King


“On writing” non è un romanzo, non è un saggio, non è una biografia né tanto meno un manuale d’istruzioni. Cos’è allora? “L’autobiografia di un mestiere”.
È autobiografico non solo perché narra dell’evolversi della scrittura, ma anche perché King, come sempre, ci mette del suo, ci racconta le sue esperienze, aneddoti di vita reale che hanno tracciato il suo percorso letterario fino al 2000 (data di uscita del libro). È una biografia inquadrata sotto la luce di un’unica lanterna: la scrittura.
[Questo libro] è un tentativo di spiegare, in maniera sobria e concisa, come ho incominciato con questo mestiere, quanto ne ho imparato fino a oggi e come lo si mette in pratica. Parlerò del lavoro quotidiano; parlerò del linguaggio.
L’obiettivo che muove alla stesura di questo testo è l’idea di fornire una guida pratica per migliorare le proprie doti, per affinare il proprio stile e soprattutto per costruire quella che King definisce la “cassetta degli attrezzi”: una cassetta ideale in cui ciascun autore dovrebbe riporre grammatica, vocabolario, stile, tematiche, tutto ciò che può essere utile alla costruzione di una buona storia.
Ma fino a qui con King sono andata a braccetto: evitare inutili avverbi, imparare ad essere severi con sé e la propria opera e stroncare da sé fronzoli superflui, puntare alla verità, dare spazio ai personaggi e. Questo in particolare è un punto che mi ha colpito perché è un po’ quello che avverto mentre scrivo: lasciare che i personaggi si muovano in autonomia, senza forzare un comportamento piuttosto che un altro. Se sono ben costruiti (se sono persone e non personaggi, come direbbe Pirandello) si muoveranno sulla scena da soli.
Non vi chiedo di affrontarla con timore riverenziale o senza dubbi; non vi chiedo di essere politicamente corretti o accantonare il vostro senso dell'umorismo (pregate Iddio di averne uno). Questa non è una gara di popolarità, non sono i giochi olimpici della morale, non siamo in chiesa. Ma si tratta di scrivere, dannazione, non lavare la macchina o mettersi l'eyeliner. Se sapete prenderlo sul serio, abbiamo da fare insieme. Se non potete o volete, è ora che chiudiate il libro e vi dedichiate a qualcos'altro.
Poi però ecco che il nostro zio Stephen ci racconta di una realtà tutta americana che è lontana anni luce dalle reali possibilità di un autore made in Italy.
Punto primo: inviare i propri racconti alle riviste specializzate e accettare qualunque compenso, anche se misero. Fermi tutti. What? “Riviste per racconti”, “compenso”. Ahahahah. Il primo punto, che per King è la vera chiave di volta per farsi conoscere, acquisire credenziali e poi puntare ad un pubblico sempre più vasto, è già impossibile da attuare nel nostro Bel Paese (patrimonio di cultura e bellezza, certo, ma al quanto scarso in fatto di rinforzi economici a chi ha qualcosa da proporre, oltre che povero di opportunità letterarie). [N. B. Se qualcuno conoscesse riviste specializzate in questo tipo di attività: vi prego, comunicatemelo!]
Secondo punto: (dopo aver fatto gavetta sulle riviste) mirate ad agenti letterari e case editrici. Fin qui si può fare, King, ci sto, accetto la sfida. Ma poi ecco la spiegazione: anche un rifiuto vi sarà utile perché potrete annotare il motivo per il quale il testo è stato respinto e crescere in base alle annotazioni di gente più esperta di voi (parafrasando il contenuto di vari capitoli). Beh, no, qui non si può fare. Le case editrici italiane, lo scrivo per esperienza, se non accettano un manoscritto proposto, con molto garbo e gentilezza semplicemente non rispondono. Come fa un autore a crescere se nessuno si prende la briga di commentare il suo lavoro? Tanto più che molti lavori non arrivano neppure sotto le mani degli addetti alla selezione, altri invece vengono scartati anche solo perché non seguono le linee editoriali del momento (valida ragione, per carità!) ma l’autore non verrà mai a saperlo.
Terzo punto: gioite quando viene pubblicato e apprendete dalle revisioni. Sì… Ci penseremo quando risolveremo i primi due punti.
A parte questa critica al sistema italiano che mi è parso sempre più lontano dalle altre realtà mondiali ad ogni pagina di “On writing”, credo che come sempre King sia piacevole da leggere, in qualunque sua forma. Inoltre in questa rassegna di episodi personali abbiamo l’occasione di sbirciare dietro le quinte di uno degli autori più accattivanti della nostra epoca. Per i fan del Re, consigliatissimo. Per gli aspiranti scrittori che vogliono farsi due risate sui retroscena che ben conoscono, idem.

Scrivere è magia, è acqua della vita come qualsiasi altra attività creativa. L'acqua è gratuita. Dunque bevete.
Bevete e dissetatevi.

P.S. Aggiungo infine una pagina che inviterei chiunque a leggere. Il tema cruciale è il rapporto droghe-arte. Bisogna davvero fare uso di alcool o altre droghe per ottenere lo spunto creativo o chi è dipendente è solo un essere umano con un grave problema da risolvere? Sono del secondo avviso, e sono felice di leggere che anche King, nonostante i propri trascorsi da tossico e alcolizzato, la pensa allo stesso modo. E voi?

L'idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legati è una delle grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo. I quattro scrittori del ventesimo secolo il cui lavoro è soprattutto responsabile di questa mitologia sono probabilmente Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson e il poeta Dylan Thomas. [...] Lo scrittore tossicodipendente è nient'altro che un tossicodipendente, sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. La pretesa che droghe e alcol siano necessari per sopire una sensibilità più percettiva non è che la solita stronzata autogiustificativa. [...] Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli. Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative sono più vulnerabili di altri all'alcolismo e alla dipendenza dagli stupefacenti, e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada.

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