Ehi tu! Sì dico a te. Qui si spacciano libri, mica robaccia. Pagamento? Baratto: consigli per altri consigli, idee per idee. E alla fine, nessuno sarà lo stesso di quando è arrivato.

domenica 31 gennaio 2016

Gennaio #1

“Novelle per un anno” nasce, nella mente di Luigi Pirandello, come un progetto ambizioso. L’idea infatti è quella di raccogliere tutte le novelle scritte nell’arco di una vita e sparpagliate su periodici, giornali e altre mini raccolte pubblicate dall’editore Treves, in una mega edizione di 12 volumi (uno per ogni mese dell’anno) contenente ciascuno 30 novelle (o in alcuni casi 31) per un totale di 365, una per ogni giorno dell’anno. In realtà poi Pirandello non ha mai compiuto l’intento, o non aveva ben calcolato quante ne avesse realmente scritte (negli stessi anni in cui ebbe questa brillante idea era infatti super impegnato come drammaturgo e si dedicava prevalentemente al teatro).
Insomma, non ne abbiamo 365, ma ne abbiamo tante (241 + 15 postume)! Anni fa ho acquistato una splendida edizione con cofanetto di “Tutte le novelle”, ed ecco giunto il momento di iniziare questa sfida alla scoperta degli squarci di realtà ingranditi dalla lente abile di uno degli autori italiani che apprezzo di più.
Essendo quindi 256 novelle dovrei leggerne circa 21 al mese per essere in pari e concluderle nell'anno.

Le novelle lette questo mese sono:
  1. Capannetta. Bozzetto siciliano
  2. La ricca 
  3. Se…
  4. Le tre carissime
  5. I galletti del bottajo
  6. L’amica delle mogli
  7. L’onda
  8. La signorina
  9. Ravanà (tra una messa e l’altra)
  10. Il “no” di Anna
  11. Dialoghi tra il Grande me e il piccolo me
  12. Il nido
  13. La paura del sonno
  14. Chi fu?
  15. Sole e ombra
  16. Visitare gl'infermi
  17. Natale sul Reno
  18. Sogno di Natale
  19. Le dodici lettere
  20. Creditor galante
  21. Il dottor Cimitero
Per queste prime novelle sembra esserci, almeno nella maggior parte dei casi, un filo conduttore: vicende amorose, potenziali matrimoni, delusioni e disillusioni. Alcune mi hanno particolarmente colpito e quindi vi parlerò brevemente di queste.
Se ne La ricca il rifiuto della protagonista al pretendente per lungo tempo amato avviene solo quando non si sente più sua eguale a causa di disgrazie finanziarie, Il “no” di Anna arriva inaspettato quando scopre di non essere che un ripiego amoroso, di non essere stata la prima e unica donna amata. Sono figure femminili molto differenti, la prima orgogliosa e appassionata, la seconda un po’ sciocca e frivola, ma entrambe spinte dalla volontà di essere amate per ciò che sono, sentendosi nulla di meno dell’uomo che dovranno avere accanto per il resto della vita. Ci sono amori che finiscono in tragedia (Se…) e amori che diventano eterni proprio perché mai vissuti (L’amica delle mogli), ma anche amori che si coronano per poi, con il passare del tempo, subire una forte disillusione quando ci accorge che l’oggetto amoroso non è più splendido come appena colto (L’onda).
“Se follia c’è, è questa la mia follia… Posso veder tutto ciò che sarebbe stato, se quel che è avvenuto non fosse avvenuto. Lo vedo, ci vivo; anzi, vivo lì soltanto… Il se, insomma, il se, capisci?”
Di carattere più onirico e spettrale invece le novelle La paura del sonno, dove una donna data per morta si risveglia mentre viene condotta al cimitero, e Chi fu? in cui l'assassino si rivela essere un fantasma che ha iniziato a vivere solo dopo aver spirato.

LE PREFERITE DEL MESE
Tra le preferite di questo mese senza dubbio: Le tre carissime e L’amica delle mogli. Fresche, vivaci, allegre, donne che, come detta l’epoca, puntano al matrimonio, ma sanno con esattezza cosa fare per non abbassarsi ad elemosinarlo e raggiungere la propria indipendenza. Chi vivendo delle proprie passioni, chi conquistando l’amore eterno di ciascuno degli spasimanti ora sposati.
Ecco quindi uno stralcio tratto da Le tre carissime che a mio avviso permette di vedere dietro le imposte chiuse, dentro l’anima di ciascuno, uno slancio di cruda realtà che per Pirandello non può essere imbrigliato per sempre.

Ci vengono effettivamente dalla società un buon numero di leggi e regolamenti, che dovrebbero tenere a freno questa mala bestia che si chiama uomo. Da secoli la società si industria a insegnarle la creanza, a farle dire per esempio: Buon giorno o buona sera; ad andar vestita decentemente per via, dritta su due zampe soltanto, ecc. ecc. Ma ogni tanto la mala bestia ne fa qualcuna delle sue. Che è che non è, ce la pigliamo con la società, come se da essa ci venisse il danno, solo perché abbiamo voluto costringerla a imporre alla natura certi doveri, che questa poi non vuole né riconoscere né rispettare. Quasi che una donna non possa amare neanche per isbaglio un altr’uomo che non sia precisamente suo marito, solo perché dalla società le si è fatto dire che una moglie non deve. La società poverina, lo dice e lo impone; ma che colpa ha, se la natura poi se ne ride?
Curiosità:  L'amica delle mogli venne rappresentata per la prima volta a teatro nel 1926, dove Marta, la protagonista, venne interpretata da Marta Abba, amica, musa e presunta amante di Pirandello (i due comunicarono assiduamente, raccogliendo un epistolario di circa 500 lettere donato all'Università di Princeton e pubblicato integralmente nel 1994).

Modi di dire: Da qualche tempo ho scoperto l'esistenza di un modo di dire che mi fa alquanto ridere. Ovvero "d'Egitto", per indicare qualcosa di assurdo, poco credibile. Dopo mesi di battibecchi sulla questione con la persona che me l'ha fatto scoprire (anche lui amante di Pirandello), ora devo ufficialmente ammettere la sua esistenza. Se lo usa anche il nostro Luigi sarà pur vero!


Indicazioni utili: le novelle dedicate al Natale, leggetele a Dicembre, non a Gennaio, l'atmosfera di festa le renderà più vivide.

venerdì 29 gennaio 2016

L'allenatore - John Grisham

TITOLO: L’allenatore
AUTORE: John Grisham


TRAMA
Dopo quindici anni di assenza Neely Crenshaw torna nella sua cittadina natale, richiamato dalla notizia che Eddie Rake, il mitico allenatore della squadra di football in cui giocava ai tempi del liceo, sta per morire. Per decenni quell’uomo, noto per i duri allenamenti, degni del più feroce sergente dei marines, aveva guidato la squadra degli Spartans attraverso una serie di trionfi, conquistati al prezzo di insulti, litigi e minacce. È soltanto al funerale che Neely Creenshaw, campione mancato e uomo amareggiato, scoprirà l’autentica natura di Eddie Rake e la verità che prima non aveva saputo vedere- Con l’Allenatore John Grisham ci porta nel cuore dell’America dai valori semplici ed eterni: l’amicizia, l’amore, il perdono.

UNA VEGLIA DI RICORDI
Capita, più spesso di quanto non si creda, almeno per me, che sia un libro a cercare il lettore, piuttosto che viceversa, e questo è uno di quei casi. Dopo aver letto “On writing” di Stephen King e accettato il suo suggerimento di leggere Grisham quantomeno per lo stile se non per le trame (thriller legali per lo più, che non annovero tra i primi da leggere nella vita), inizio un’altra lettura, per poi scoprire che un amico è appassionato di Grisham, mi consiglia qualche libro e un paio di giorni dopo mi ritrovo con un libro in prestito, una lettura inaspettata, che con molta probabilità non avrei mai iniziato se non mi fossi trovata il volume nella borsa prima ancora di poterci pensare.
Grisham ha uno stile schietto, senza fronzoli, racconta ciò che accade per quello che è: la realtà, e tanto basta. Sospettavo ne sarei stata colpita o che, quantomeno, avrei apprezzato la scrittura da un punto di vista formale. Ma la trama? Iniziato a leggere ero scettica: giocatori di football, partite di football, racconti di allenamenti e punteggi, cose di cui non capisco un tubo nemmeno ad impegnarmici, perché non ho la più pallida idea di come si assegnino i punteggi e le yard (motivo per cui ho trovato anche poco piacevoli “La bambina che amava Tom Gordon” di Stephen King e un suo racconto inserito in “Incubi e deliri”).
Per quanto ci fossero momenti in cui avrei voluto saltare a piè pari la radiocronaca di partite incomprensibili, mi rendevo conto che c’era qualcosa che mi spingeva a continuare. Non era solo la curiosità del lettore, quella c’è sempre, ma la necessità era dovuta alla delicatezza con cui Grisham mette a nudo i personaggi.
A diciassette anni, sei un giocatore titolare di una squadra di football che continua a vincere una partita dopo l’altra, in una cittadina dove ogni cosa è a tua disposizione, in un mondo, come quello della scuola, dove ti senti il padrone, non puoi fare a meno di progettare un futuro di successo: una borsa di studio per un ottimo college, partite di football, ancora vittorie, ancora il mondo ai tuoi piedi. Ci si sente indomiti, ci si sente eroi, soprattutto quando il nome stampato sulla maglia verde che indossi quando entri in campo è “Spartans”. Come valorosi spartani, questi giocatori, affrontano ondate di nemici e una dopo l’altra cadono sotto la volontà indomita di un pugno di ragazzi che non sanno cosa voglia dire perdere.
Sono sottoposti ad allenamenti massacranti, vivono per il football, ricevono più rimproveri e strigliate che complimenti anche dopo ogni vittoria, ma è grazie a questa ricerca di perfezione, in un’ottica che non ammette la sconfitta, che riescono, che vincono. Questa è la mentalità del loro Coach, Eddie Rake, l’allenatore. Un uomo che lascia un segno indelebile in ogni giocatore che allena nei suoi 34 anni di carriera.
Ora però, il Coach sta morendo e gli Spartans di tutte le Stagioni ritornano a casa, richiamati dalla necessità di dare un ultimo saluto all’uomo che ha segnato la loro personalità e la loro storia, dando a ciascuno l’opportunità di conoscere la gloria, di assaggiare il sapore della grandezza.
Ricordi, rimpianti, segreti, vengono alla luce in carrellate di racconti di un manipolo di ex giocatori che non vivono più per il football, ma che portano con sé una traccia profonda di quegli anni. Per ogni successo, per ogni fallimento il pensiero è: “E se Rake fosse qui a vedermi, cosa direbbe?”.
Ci sono persone che ci segnano più di quanto vorremmo ammettere, ci sono figure che passano nella nostra vita o che in essa restano, che scavano solchi, che dettano una nuova impronta, di cui noi saremo per sempre portatori. È quello che succede quando qualcuno riesce a varcare la soglia della gabbia, riesce ad andare oltre e a smuovere emozioni e volontà che non sapevi neppure di avere. Solo dopo aver chiuso l’ultima pagina ho capito che se c’era qualcosa che mi ha spinto a procedere, era questo. E la possibilità di riflettere sulle dinamiche della nostra esistenza è uno dei motivi più validi che conosco per proseguire la lettura.

“Se dovesse camminare in una valle oscura non temerai alcun male.” […] Eddie Rake ha vissuto la sua vita senza paura. Ai suoi giocatori ha insegnato che i timidi e i pavidi non hanno posto tra i vincitori. Coloro che non corrono rischi non ricevono ricompensa. Qualche mese fa Rake accettò il fatto che la morte è inevitabile. Non ebbe timore del suo male e delle sofferenze che gli avrebbe arrecato. Non ebbe timore di dire addio a coloro che amava. Non ebbe timore di morire. La sua fede in Dio era forte e incrollabile. “La morte è solo l’inizio” gli piaceva dire.

venerdì 22 gennaio 2016

"On writing - Autobiografia di un mestiere" - Stephen King

TITOLO: On writing
AUTORE: Stephen King


“On writing” non è un romanzo, non è un saggio, non è una biografia né tanto meno un manuale d’istruzioni. Cos’è allora? “L’autobiografia di un mestiere”.
È autobiografico non solo perché narra dell’evolversi della scrittura, ma anche perché King, come sempre, ci mette del suo, ci racconta le sue esperienze, aneddoti di vita reale che hanno tracciato il suo percorso letterario fino al 2000 (data di uscita del libro). È una biografia inquadrata sotto la luce di un’unica lanterna: la scrittura.
[Questo libro] è un tentativo di spiegare, in maniera sobria e concisa, come ho incominciato con questo mestiere, quanto ne ho imparato fino a oggi e come lo si mette in pratica. Parlerò del lavoro quotidiano; parlerò del linguaggio.
L’obiettivo che muove alla stesura di questo testo è l’idea di fornire una guida pratica per migliorare le proprie doti, per affinare il proprio stile e soprattutto per costruire quella che King definisce la “cassetta degli attrezzi”: una cassetta ideale in cui ciascun autore dovrebbe riporre grammatica, vocabolario, stile, tematiche, tutto ciò che può essere utile alla costruzione di una buona storia.
Ma fino a qui con King sono andata a braccetto: evitare inutili avverbi, imparare ad essere severi con sé e la propria opera e stroncare da sé fronzoli superflui, puntare alla verità, dare spazio ai personaggi e. Questo in particolare è un punto che mi ha colpito perché è un po’ quello che avverto mentre scrivo: lasciare che i personaggi si muovano in autonomia, senza forzare un comportamento piuttosto che un altro. Se sono ben costruiti (se sono persone e non personaggi, come direbbe Pirandello) si muoveranno sulla scena da soli.
Non vi chiedo di affrontarla con timore riverenziale o senza dubbi; non vi chiedo di essere politicamente corretti o accantonare il vostro senso dell'umorismo (pregate Iddio di averne uno). Questa non è una gara di popolarità, non sono i giochi olimpici della morale, non siamo in chiesa. Ma si tratta di scrivere, dannazione, non lavare la macchina o mettersi l'eyeliner. Se sapete prenderlo sul serio, abbiamo da fare insieme. Se non potete o volete, è ora che chiudiate il libro e vi dedichiate a qualcos'altro.
Poi però ecco che il nostro zio Stephen ci racconta di una realtà tutta americana che è lontana anni luce dalle reali possibilità di un autore made in Italy.
Punto primo: inviare i propri racconti alle riviste specializzate e accettare qualunque compenso, anche se misero. Fermi tutti. What? “Riviste per racconti”, “compenso”. Ahahahah. Il primo punto, che per King è la vera chiave di volta per farsi conoscere, acquisire credenziali e poi puntare ad un pubblico sempre più vasto, è già impossibile da attuare nel nostro Bel Paese (patrimonio di cultura e bellezza, certo, ma al quanto scarso in fatto di rinforzi economici a chi ha qualcosa da proporre, oltre che povero di opportunità letterarie). [N. B. Se qualcuno conoscesse riviste specializzate in questo tipo di attività: vi prego, comunicatemelo!]
Secondo punto: (dopo aver fatto gavetta sulle riviste) mirate ad agenti letterari e case editrici. Fin qui si può fare, King, ci sto, accetto la sfida. Ma poi ecco la spiegazione: anche un rifiuto vi sarà utile perché potrete annotare il motivo per il quale il testo è stato respinto e crescere in base alle annotazioni di gente più esperta di voi (parafrasando il contenuto di vari capitoli). Beh, no, qui non si può fare. Le case editrici italiane, lo scrivo per esperienza, se non accettano un manoscritto proposto, con molto garbo e gentilezza semplicemente non rispondono. Come fa un autore a crescere se nessuno si prende la briga di commentare il suo lavoro? Tanto più che molti lavori non arrivano neppure sotto le mani degli addetti alla selezione, altri invece vengono scartati anche solo perché non seguono le linee editoriali del momento (valida ragione, per carità!) ma l’autore non verrà mai a saperlo.
Terzo punto: gioite quando viene pubblicato e apprendete dalle revisioni. Sì… Ci penseremo quando risolveremo i primi due punti.
A parte questa critica al sistema italiano che mi è parso sempre più lontano dalle altre realtà mondiali ad ogni pagina di “On writing”, credo che come sempre King sia piacevole da leggere, in qualunque sua forma. Inoltre in questa rassegna di episodi personali abbiamo l’occasione di sbirciare dietro le quinte di uno degli autori più accattivanti della nostra epoca. Per i fan del Re, consigliatissimo. Per gli aspiranti scrittori che vogliono farsi due risate sui retroscena che ben conoscono, idem.

Scrivere è magia, è acqua della vita come qualsiasi altra attività creativa. L'acqua è gratuita. Dunque bevete.
Bevete e dissetatevi.

P.S. Aggiungo infine una pagina che inviterei chiunque a leggere. Il tema cruciale è il rapporto droghe-arte. Bisogna davvero fare uso di alcool o altre droghe per ottenere lo spunto creativo o chi è dipendente è solo un essere umano con un grave problema da risolvere? Sono del secondo avviso, e sono felice di leggere che anche King, nonostante i propri trascorsi da tossico e alcolizzato, la pensa allo stesso modo. E voi?

L'idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legati è una delle grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo. I quattro scrittori del ventesimo secolo il cui lavoro è soprattutto responsabile di questa mitologia sono probabilmente Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson e il poeta Dylan Thomas. [...] Lo scrittore tossicodipendente è nient'altro che un tossicodipendente, sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. La pretesa che droghe e alcol siano necessari per sopire una sensibilità più percettiva non è che la solita stronzata autogiustificativa. [...] Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli. Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative sono più vulnerabili di altri all'alcolismo e alla dipendenza dagli stupefacenti, e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada.

venerdì 15 gennaio 2016

Iniziare con... Virginia Woolf

La rubrica “Iniziare con…” nasce con lo scopo di fornire spunti utili per iniziare a scoprire alcuni autori partendo dal “Libro giusto”. Spesso quando non si conosce un autore, soprattutto per i classici, si fa un po’ fatica a scegliere da cosa iniziare, e da amici lettori e conoscenti mi viene rivolta la fatidica domanda “Da quale mi consigli di iniziare?”, così ecco un rubrica ad hoc.
Iniziamo con un’autrice che adoro e di cui ho letto buona parte della bibliografia, senza contare che mi ha appassionato così tanto da decidere di incentrare su di lei la tesi della triennale (Sì, non esagero, mi piace davvero tanto!!!).
Di chi stiamo parlando? Scopritelo!

INIZIARE CON…
VIRGINIA WOOLF

Saggista e romanziera di ampia fama, Virginia Woolf si rivela essere di frequente una lettura un po’ ostica, soprattutto a primo assaggio. Quindi perché farsi spaventare dal primo incontro invece di scegliere il libro adatto alle vostre esigenze? A mio avviso è davvero un’autrice fantastica, con tematiche forti e profonde e con un amore per la scrittura da lasciare incantati. Per non parlare del fatto che abbia lavorato tutta la vita alla ricerca dello stile giusto, della tecnica di scrittura adatta a far emergere l’animo umano. Non potete lasciarvela sfuggire per paura di iniziare!

N. B. Non vi consiglierò i classici come “Mrs. Dalloway”, “Gita al faro” o “Una stanza tutta per sé” per una semplice ragione: che possiate amarli oppure no, probabilmente nella vostra vita vi saranno già stati consigliati o li avrete visti nelle librerie miliardi di volte, se non li avete ancora presi vuol dire che non stuzzicavano affatto la vostra curiosità e non ho intenzione di proporvi letture della serie “è un classico, va letto”, ma libri che possano davvero entusiasmarvi e farvi avvicinare ad un autore che conoscete ancora poco.

Quindi ecco a voi tre libri da cui potreste iniziare.


1. Notte e giorno – per chi cerca un romanzo

Il peggio è che non aveva alcun talento per la letteratura. Non le piacevano le belle frasi. Aveva persino una naturale antipatia per quel procedimento d’auto analisi, quel perenne sforzo di capire i propri sentimenti ed esprimerli con parole eleganti, appropriate e vigorose; il che costituiva invece una parte tanto importante della vita di sua madre. Lei, al contrario, era portata al silenzio; disdegnava farsi conoscere attraverso i discorsi, figurarsi dunque per iscritto.
Questo il ritratto di Katharine Hilberty, il ritratto di un nuovo frammento di Virginia Woolf.
Anima solitaria, Katharine non vuole invenzione, immaginazione, solo realtà. All’amato, se così si può chiamare il personaggio che lo rappresenta e con cui intesse una complessa storia d’amore caratterizzata da sentimenti controversi, confessa di non volere assolutamente che lui inventi storie su di lei, che fantastichi sul suo conto, individuando in ciò “l’origine di tutti i mali”, “la ragione della nostra solitudine ”.
Come Virginia, Katharine è attratta dall’indipendenza, dal mondo impegnato e vivo di Mary, attivista nella campagna di emancipazione femminile. Ma come Katharine, anche Virginia non vuole invischiarsi in questa lotta, non direttamente (lo farà solo negli ultimi anni della sua vita): ha le sue idee e nei suoi incontri con i personaggi, reali o del romanzo, non perde occasione per dare voce a tali riflessioni. Ma muoiono qui, come la protagonista, Virginia è troppo immersa nella sua vita, nel suo lavoro. Non è un caso che Katharine sia cresciuta tra i libri, con il retaggio familiare della scrittura, con una biografia da scrivere, che tuttavia, nonostante costituisca un punto di contatto con la figura materna, sembra gravare su di lei: Katharine vuole altro, vuole una strada che sia propria e allo stesso modo Virginia vuole creare un proprio percorso.
Notte e giorno per la sua autrice è un esperimento: non è importante la trama, gli eventi della narrazione sono marginali, ciò che conta è il mondo interiore dei personaggi, le sensazioni e le emozioni che ciascuno prova. Soprattutto, Virginia, indaga la differenza stridente tra come si appare e ciò che si è, cerca di scavare affondo nella psiche del personaggio, nella verità dell’Io. Eppure odia l’introspezione, ma proietta la necessità di conoscersi sui personaggi.
 “Ti giuro che adesso, in questo preciso istante, ti vedo esattamente come sei. Nessuno ti ha mai conosciuta come ti conosco io… avresti potuto mai tirare giù quel libro proprio adesso, se non ti conoscessi?”
“É vero”, rispose lei, “ma non puoi sapere quanto mi senta divisa… quanto mi trovi a mio agio con te e quanto sia sconcertata. L’irrealtà… il buio… l’attendere fuori nel vento… sì, quando tu mi guardi senza vedermi, e neanch’io ti vedo…vedo però”, proseguì in fretta cambiando posizione e aggrottando di nuovo la fronte, “una gran quantità di cose, ma non te.” […] Ma lei non riusciva a tradurre in parole la sua visione, perché non era un’unica forma a colori su un fondo buio, ma piuttosto un’eccitazione generale, un’atmosfera e, quando cercava di visualizzarla, prendeva le sembianze di un vento che sferzasse le pendici delle colline settentrionali e gettasse bagliori sui campi di grano e le pozze d’acqua. “Impossibile”, sospirò ridendo per l’assurda idea di tradurre ciò in parole. […] “Mi sto esprimendo in un linguaggio insensato… Quel genere di linguaggio insensato che si parla con se stessi.” Era sgomenta per l’insieme di desiderio e disperazione che vedeva sul volto di Ralph. “Stavo pensando una montagna nell’Inghilterra settentrionale”, azzardò. “No, è troppo stupido… Non ho intenzione di continuare. […] Non ti posso spiegare.”  No, non poteva spiegare che lassù era del tutto sola. “Non è una montagna nell’Inghilterra settentrionale. E’ un’immagine fantastica…una storia che si racconta a se stessi.

Intrecci di storie d’amore e vite familiari, passionali o concrete, vibranti nella loro autenticità, con tutta la paura di inciampare in un sentimento nuovo, sconosciuto, che mette soggezione e viene visto come un limite, ma si scoprirà essere invece una possibilità di essere completamente se stessi.
Una storia che merita di essere letta, che ha il sapore dei romanzi delle sorelle Bronte e della Austen, romanzi introspettivi in un ambiente che guardava alla superficie.

 “Pensavo a te… sì, lo giuro. Sempre a te, ma assumi forme così strane dentro di me. Hai distrutto la mia solitudine. Devo dirti come ti vedo? No, dimmelo tu… dimmi tutto dal principio”

 2. Diario di una scrittrice – per chi desidera conoscere Virginia dall’interno

I diari sono i compagni più fedeli e instancabili dell’autrice. In questa raccolta, realizzata dal marito Leonard, possiamo assaporare realmente lo spirito tormentato di Virginia, come donna, come persona, come anima combattuta, ma soprattutto come incontentabile scrittrice, alla ricerca dello stile perfetto, che progetta e crea una storia dopo l’altra, che si lancia all’interno della scrittura e sfugge dal mondo.

Non spenderò troppe parole su questo libro, ma personalmente è stata una lettura impareggiabile. Un’occasione per sentirsi lì, accanto a lei, nella sua stanza, tra il letto in cui si disperava durante le sue emicranie e lo scrittoio su cui avidamente scriveva fino allo strenuo delle forze.

Sto cercando di dire a quella me stessa che forse leggerà un giorno queste righe che so scrivere molto meglio; che in queste pagine non spreco tempo; che le proibisco di consentire a occhi umano di leggerle. E ora posso aggiungere il mio piccolo complimento, e cioè che hanno un loro vigore spericolato e talvolta fanno centro in bersagli impensabili. Ma quel che più conta è la mia convinzione che l’abitudine di scrivere così, solo per il mio occhio, è un buon esercizio. Scioglie le giunture. […] Per di più mi appare in lontananza l’ombra di non so che forma alla quale potrebbe giungere un diario. Potrei, con l’andar del tempo, imparare che cosa si può farne, di questa materia di vita slegata e vagante; trovarvi un altro uso oltre quello per cui la impiego adesso, tanto più consapevolmente e scrupolosamente, nella narrativa. Che tipo di diario vorrei fosse il mio? Un tessuto a maglie lente, ma non sciatto; tanto elastico da contenere qualunque cosa mi venga in mente, solenne, lieve o bellissima. Vorrei che somigliasse a una scrivania vecchia e profonda o a un ripostiglio spazioso, in cui si butta un cumulo di oggetti disparati senza nemmeno guardarli bene. La vita è, per dirla con cura e misura, una faccenda stranissima; ha in sé l’essenza della realtà. Lo sentivo da bambina; una volta non riuscivo a superare una pozzanghera, perché pensavo: “Che strano; che cosa sono io?”, ecc. Ma scrivendo non raggiungo nulla. Tutto ciò che voglio fare è prendere nota di un curioso stato d’animo. Azzardo l’ipotesi che si tratti di quell’impulso che è dietro un nuovo libro.

 3.  Le onde – per i più ardimentosi

Le onde è un libro sul tempo, e in una visione più ampia è una allegoria della scrittura, del suo amore per lo stile, per la forma, per cui aveva sempre usato la metafora delle onde. In quest’opera ciò che conta è il ritmo, sopra ogni cosa. Il titolo originale era stato Le falene, dall’idea per cui ciascun personaggio viene attratto da un’idea, da un’immagine particolare attorno alla quale ruotano i pensieri. Ma il ritmo delle onde prevale, il ritmo della scrittura si manifesta, e lo fa attraverso il superamento del monologo interiore. Raggiunge l’impersonalità in quanto i sei personaggi non sono individui, persone, ma simboli di vari aspetti dell’essere umano. Il soliloquio dei personaggi, dove i pensieri coscienti si accavallano con le immagini che fanno da sfondo e di cui anche i protagonisti sono inconsapevoli, si alterna ad intermezzi lirici che evocano l’amore per la lingua greca, la lingua di Antigone che compare nell’opera, intraducibile.
“-disse-” è l’unico modo in cui interviene Virginia nel romanzo, mentre ciò che i personaggi dicono, pensano o fanno si unisce nel loro flusso di parole. Virginia, però, lascia tracce di sé in ciascuno, come in Rhoda, che fissa la sua bacinella di acqua piena di petali bianchi, in cui rivede barche che navigano tra le onde; con esse gioca aggiungendovi oggetti, un ramo per una zattera, un sasso per vederlo risucchiato dall’acqua, una nave sola che è la sua rimane, solitaria, un faro da aggiungere nel mezzo. È Neville quando egli rievoca un ricordo di Virginia, l’uomo ucciso di cui aveva sentito parlare nella cucina, e il suo panico nel fissare il tronco dell’albero che si deforma. È Jinny (così la chiamava Leslie Stephen) che si guarda allo specchio, contemplando la sua magrezza, e non si piace. E così anche Rhoda, che lo specchio non vuole neppure vederlo, perché lei non è come le altre ragazze, lei non esiste, non è reale, lei viene scossa dalla “violenza dell’emozione” . Come Bernard, è stravagante, fa sempre tardi, si perde nelle proprie riflessioni, ma come Virginia, anche lui, viene accettato, viene perdonato, perché incarna colui che racconta le storie. Come Susan, Virginia “di ciò che più odia farà immagine e le seppellirà” ; Susan usa la terra, Virginia la scrittura, seppellisce le sue immagini nelle parole, perché attraverso di esse può porre fine ai pensieri che la tormentano.
Virginia raggiunge l’obiettivo: con Le onde crea il romanzo che più riesce ad esprimere il suo stile. Ci riesce proprio perché qui compaiono i temi e le immagini che per tutta la vita l’avevano ossessionata, le sue memorie di bambina, di scrittrice, di donna, appare la sua percezione della realtà, quel suo intenso sentire che l’ha spinta verso la necessità della scrittura.

Spero che questo primo appuntamento vi sia piaciuto e possa costituire un'occasione per avvicinarsi ad un autore con un'idea più chiara su cosa scegliere, ma soprattutto con quello spirito di curiosità e avventura che sprona ad ogni lettura!

mercoledì 13 gennaio 2016

I capelli di Harold Roux - Thomas Williams

Titolo: I capelli di Harold Roux
Autore: Thomas Williams


TRAMA
Aaron Benham insegna letteratura inglese in un'università del New England. Ha una bella casa nei sobborghi residenziali della città, una moglie e due figli che stanno crescendo - ed è nel pieno di una crisi di mezza età. Ha preso un anno sabbatico e sta cercando di scrivere un romanzo che non riesce a scrivere, continuamente distratto dalle persone che ama e che hanno bisogno di lui e dai ricordi che continuano ad affiorargli alla mente, dalla malinconia, dai rimpianti. Il suo romanzo, I capelli di Harold Roux, è "una semplice storia di seduzione, stupro, follia e omicidio" come la definisce lui stesso. Allard, il protagonista, ha poco più di vent'anni ed è appena tornato dalla seconda guerra mondiale. Non ha dubbi sulla bestialità dell'uomo, non crede nella violenza ma è spaventato dalla gioia che a volte il pensiero della violenza gli procura. Vuole diventare uno scrittore, sogno che Harold Roux, suo compagno di università e rivale intellettuale, che ha perso i capelli durante la guerra e indossa un terribile parrucchino; entrambi corteggiano Mary, una ragazza bellissima e naive - l'innocente, onesta, dolce America, la ragazza della porta accanto -, ma Allard è anche attratto da Noemi, la sua compagna di stanza, una militare comunista di buona famiglia che, come ogni ragazza borghese, conosce il linguaggio preciso del contatto fisico. Più Aaron mescola passato e presente e il romanzo prende forma, più appaiono in controluce i suoi stessi anni al collage, le sue inquietudini di allora, la nostalgia per un gruppo di amici abbastanza giovani da cacciata dal paradiso. Vincitore nel 1975 del National Book Award, il massimo riconoscimento letterario americano, I capelli di Harold Roux è uno straordinario esperimento di romanzo nel romanzo, ma soprattutto una potente riflessione sul potere della narrazione, su come le storie e il processo creativo con cui le raccontiamo ricostruiscono il passato e la memoria e contribuiscono a definire chi siamo.

NEL ROMANZO NEL ROMANZO… NEL ROMANZO
Siamo davanti ad una sorta di Inception letterario: l’autore, Thomas Williams, crea un personaggio, uno scrittore, Aaron Benham, che si sta dedicando alla stesura del suo romanzo, “I capelli di Harold Roux” appunto, in cui i protagonisti Harold e Allard sono a loro volta giovani studenti del college alle prese con i primi tentativi di scrivere romanzi. Sono storie nelle storie: ci troviamo per un momento nel romanzo di Harold, poi fuori, catapultati nel mondo di Aaron Benham, che racconta una lunga favola a puntate ai suoi due figli prima di spedirli a letto, e poi ancora dentro e fuori il romanzo, in passaggi che il lettore avverte, senza sentirli come stacchi reali, ci si muove con la massima fluidità. Si scivola da un mondo all’altro senza traumi, percependo i confini labili che mondo immaginario e mondo reale assumono nella vita di uno scrittore. 

Qui, sulla scrivania, giace il suo lavoro. Nella luce del mattino gli sembra arido, povero, superficiale, in qualche modo anche disgustoso. E in ogni momento di stasi dal lavoro ha la tentazione di pensare a ciò che va di moda oggi, il ché è un disastro, è la morte dell’energia, la morte della sincerità. A meno che un uomo non abbia lasciato il cervello ad uno di quei mille eserciti della salvezza, è il solo, unico giudice di se stesso.

Thomas Williams non si fa scrupoli nel rivelare i pensieri più abietti e indicibili di Aaron Benham, e quest’ultimo ci conduce alla scoperta del mondo di Allard, combattuto tra l’amore per Mary, dolce ragazza credente e piena di tabù che vuole indurla a violare, e Naomi, passionale brunetta comunista che con il suo sensuale fascino disinibito catalizza nella sua orbita Allard ogni volta che la vede. Le vorrebbe entrambe, vorrebbe sperimentare questi amori così diversi e perfetti nel loro peculiare modo di essere, non vorrebbe rinunciare a nessuna delle due, ma sa di doverlo fare, e spera di riuscirci. 
Nel frattempo al college si è un po’ come al liceo, i bulli non mancano mai, ma la gravità delle loro azioni diventa proporzionalmente grande alla stazza che hanno assunto con la crescita e l’allenamento militare. Un gruppo di folli ragazzi che ha preso di mira il povero Harold, omuncolo intelligente e idealista, delicato nella sua concezione di principi e modelli di vita, e che tenta di nascondere la sua più terribile vergogna: una pelata bianca e liscia sulla sommità della testa, mal celata da un parrucchino che tutti notano ma di cui evitano accuratamente di parlare. 
Dietro i capelli di Harold Roux nascono i presupposti per confrontarsi con il mondo che si cela dentro ciascuno, tutto ciò che rimane non detto e che ognuno cela alla vista dell’altro. Mondi differenti, di paure, speranze e desideri, che si scontrano nell’arco della vita che è più caratterizzato dalle scoperte e dagli ideali.
Nel mondo fuori dal romanzo, intanto, Aaron Benham cerca disperatamente di portare a compimento la sua opera, distratto da squilli del telefono, drammi familiari, necessità degli amici, pensieri di tradimento e bambini che crescono con le sue storie nella testa ma di cui presto smetteranno di aver bisogno. È la vita stessa a distrarlo dalla scrittura, ma, come per qualsiasi autore, è proprio la vita ad avergli fornito il materiale per iniziare.
Un romanzo che ho trovato splendido, di una delicatezza e fluidità da mozzare il fiato. Alcune scene particolarmente intime di rapporti amorosi sono narrate con una maestria da lasciare senza parole. Penetrante e struggente per la forza che porta con sé, ha la capacità di scagliarti nel mondo reale attraverso un doppio romanzo.
Come ha scritto Stephen King a riguardo: “Thomas Williams era un meraviglioso, meraviglioso romanziere. Scrisse un romanzo intitolato I capelli di Harold Roux, uno dei miei libri preferiti, su uno scrittore di nome Aaron Benham. Benham dice che mettersi seduti a scrivere un libro è come trovarsi in una pianura buia con un fuocherello esile. Poi qualcuno si avvicina a quel piccolo fuocherello per scaldarsi. E poi arrivano altre persone. Sono i personaggi del tuo libro, e il fuoco è la tua ispirazione. E loro nutrono il fuoco, e il fuoco cresce, e alla fine si spegne perché il libro è arrivato alla conclusione. Per me è sempre stato così. Quando cominci è freddo. una sfida impossibile. Poi magari i personaggi iniziano a prendere un po' di vita e la storia ha una svolta che non ti aspettavi.”
  Quando un uomo cerca se stesso costruisce un patibolo e un trono.

mercoledì 6 gennaio 2016

La Fata Perduta: Give-away natalizio

Fine delle feste, fine del Give-away: siamo giunti all’estrazione finale!
Ma prima di assegnare il segnalibro al vincitore, vorrei ringraziare tutti per aver partecipato, e colgo l’occasione per farvi conoscere “La Fata Perduta” a chi ancora non si fosse addentrato nel bosco con lei, alla ricerca di frammenti di sé disseminati durante il corso di una vita di trasformazioni.
Inizia così il viaggio di Aurora, della Fata e del Lupo. Una favola per chi vuole ancora, incessantemente, esplorare sé e il mondo, per chi ha voglia di conoscere i mille volti della propria anima.
C'era una volta in un paese lontano... solitamente le favole cominciano così, ma non è questo il caso. Infatti dovremmo cominciare scrivendo che "c'erano due volte in un paese relativamente lontano...." poichè la particolarità di questa storia è anche in questo. Nel fatto che gli avvenimenti che tra poco scoprirete sono accaduti non una, ma ben due volte, e anzi potremmo azzardarci a dire anche di più. Se solo si trattasse di eventi comuni, come far colazione insieme al proprio fratello o sorella, se si trattasse di qualcosa come andare a scuola, bene, allora non ci sarebbe nulla di strano nella ripetizione di un simile evento, ma date le circostanze, scoprirete ben presto che non è così. A quanti di voi è capitato di conoscere una fata? E quanti sono stati quasi sbranati da un lupo? Oh, spero davvero non a molti. E non solo per il lupo, ma anche per l'incontro con la fata!
Cosa c'è di pericoloso in una fata? Che domande! Le fate non sono affatto solo quello che si pensa che siano, c'è molto di più in quel piccolo corpicino, ed è proprio per le loro ridotte dimensioni che spesso incontrarle può provocare più danni che piacere. "Le fate sono troppo piccole per provare due sentimenti alla volta. O sono completamente buone o completamente cattive", così mi disse qualche anno fa un mio vecchio amico e così io dico a voi, perché è bene che lo sappiate qualora doveste trovarvi faccia a faccia con uno scintillio d'ali.("La Fata Perduta", Erika Scarano)
Ed ecco a voi il numero del vincitore:


 Corrispondente a FRANCESCA CANTI! Congratulazioni! :)
Per inviare l'indirizzo a cui spedire il segnalibro scelto (Volpe) aspetto un messaggio privato in Pagina. ;)

Per chiunque volesse comunque ricevere il segnalibro desiderato c’è un altro modo: fino a fine Gennaio infatti, ordinando una copia de „La Fata Perduta“ potrete ricevere il segnalibro che preferite in omaggio. Inviate un messaggio privato in pagina per ricevere la vostra copia!

martedì 5 gennaio 2016

Il Piccolo Principe

Il Piccolo Principe sul grande schermo

Tornata dal cinema, eccomi qui, avvolta nel plaid, a scrivere questo (spero breve) commento al film tratto dal capolavoro di Antoine de Saint-Exupery “Il piccolo principe”.
Non lo avete ancora visto? Bene, tanto per cominciare consiglio di vederlo. Metto qui il link al trailer per farvi un’idea della trama: https://www.youtube.com/watch?v=WTESeWGjsxM.

Ora, passiamo a questo viaggio sull’asteroide B612.

La storia rimane molto fedele ai contenuti e ai messaggi del libro, soprattutto cerca di spiegare quella delicatezza poetica di riflessioni e intuizioni che “Il Piccolo Principe” ispira durante la lettura. Un compito niente affatto semplice, se non si vuole cadere nella banalità, che qui invece non contamina per nulla la bellezza dell’opera originale.
La protagonista bambina sta già perdendo il contatto con l’infanzia, ma sarà proprio l’incontro con l’Aviatore (che rimane per tutto il tempo solo “l’Aviatore”, come “l’Uomo d’affari”, “il Vanitoso”, facendo coincidere l’identità con ciò che si è nel mondo, aspetto che ho apprezzato moltissimo), l’anziano vicino che ha conosciuto nel deserto il Piccolo Principe, a permetterle di scoprire quanto sia importante vedere con il cuore e, una volta adulti, non dimenticare.
Fin qui, tutto fantastico (volpina peluche inclusa: è adorabile!), e vi garantisco ancora una volta che vale la pena vederlo, ma ho un animo critico, non posso negarlo, quindi passiamo a cosa non mi ha soddisfatto.
Avete presente una delle frasi più famose del libro: “Si vede solo con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”? Bene, io anche. E porca paletta hanno trovato mille modi alternativi di dirlo (è importante ciò che è essenziale, dobbiamo guardare con il cuore, e quant’altro), ma mai che una volta, almeno una, per amor del cielo (e dei lettori che ad essere sinceri se l’aspettavano proprio così come la conoscono), si siano degnati di inserirla!
E continuando sul filone delle citazioni, c’è un passaggio che io personalmente adoro, uno dei momenti più belli di tutto il libro che invece nel film è stato sintetizzato, recitando (con un certa meticolosità anche) molte delle frasi dell’incontro tra il Piccolo Principe e la Volpe, ma omettendo la mia citazione preferita, che così, tanto per fare dispetto a chi ha deciso di tagliarla, e sperando di far piacere a voi, ve la propongo qui:
“Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come inondata di luce. Conoscerò un rumore di passi diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno fuggire sotto terra. Il tuo mi chiamerà fuori dalla tana, come una musica. E poi guarda! Li vedi laggiù, i campi di grano? Io non mangio pane. Quindi per me il grano è inutile. I campi di grano non mi dicono niente. E questo è molto triste! Ma tu hai capelli color dell'oro. E allora sarà bellissimo quando mi avrai addomesticato! Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E mi piacerà il rumore del vento nel grano...”

(e di conseguenza dopo, al momento dell’addio…)
«Allora non ci guadagni niente!» «Ci guadagno», disse la volpe, «a causa del colore del grano»
(tra l’altro la voce della Volpe è di Stefano Accorsi e, senza nulla togliere all’attore, non mi è parsa particolarmente indicata, nel senso che non l’ho sentita realmente proveniente dalla volpe stessa).

Infine giunge la vera critica.
Per quanto ritenga fondamentale far comprendere ai bambini la necessità di non dimenticare il loro mondo di bambini, la voglia di giocare, la dolcezza e l’importanza del prendersi cura di chi si ama, credo che in un passaggio del film sia stato enfatizzato troppo l’aspetto dell’istituzionalizzazione scolastica come causa stessa del dimenticarsi di essere stati bambini.
Mi spiego, muovendomi con cautela per non spoilerare nulla: la protagonista (come si vede nel trailer) è assorta dai suoi mille impegni scanditi in modo meticolosamente folle per prepararsi all’inizio della nuova scuola. Fuggendo da questa oppressione scopre il mondo del Piccolo principe, la meraviglia e l’incanto dell’essere bambini. Stupendo. Ma ecco il patatrack (per me almeno): più avanti, nel momento in cui sarà la bambina stessa a dover aiutare il Piccolo Principe, la difficoltà maggiore sarà lo scontro con il nemico, incarnato dall’Uomo d’Affari, che costringe i bambini a crescere e a quindi a dimenticare. E il simbolo della macchina infernale che forza la crescita cos’è se non un banco di scuola a cui si viene ammanettati?

Ecco… a mio parere è un’immagine terribile da trasmettere, soprattutto in questa società in cui lo studio viene spesso visto come un dovere da cui fuggire e non come un’opportunità da coltivare. Non credo sia colpa della scuola o dello studio la perdita d’innocenza e di magia nei nostri occhi, ma al contrario, credo che la lettura e l’apprendimento possano aiutarci a viaggiare anche in mondi che altrimenti resterebbero inesplorati. Il vero nemico è la routine metodica e meccanica (e la frustrazione che ne deriva) e mi chiedo perché non abbiano optato piuttosto per una versione del “piano di vita” elaborato dalla madre della protagonista in modalità “macchina-trasforma-bambini-in-adulti”. Temo che invece così il messaggio possa essere facilmente frainteso.
A parte questo neo che mi ha creato non pochi disagi, la storia è molto toccante, le musiche sono incantevoli e il Piccolo Principe viene rispettato fedelmente, seppur inserito in un contesto che ne spieghi la necessità di essere portato alla luce. Un’amicizia improbabile che ha solo da insegnare a tutti.

P.S. I disegni dell’autore sono animati per tutto il corso del film, dando modo a chi come me voleva immergersi nel libro, di sentirsi parte del racconto dell’Aviatore, proprio come se fosse tra le pagine della sua storia. Veramente una bella scelta!

P.P.S. Il commento non è stato breve come speravo, ma mi auguro possiate apprezzare ugualmente!

lunedì 4 gennaio 2016

22/11/'63 - Stephen King

22/11/’63
Stephen King

TRAMA
Il 22 novembre 1963 tre spari risuonarono a Dallas, il presidente Kennedy morì  e il mondo non fu più lo stesso. Se fosse possibile cambiare il corso della Storia, tu lo faresti? È quello che si domanda Jake Epping, tranquillo professore di Lisbon Falls, quando scopre che la tavola calda del suo amico Al nasconde un passaggio temporale che conduce nel 1958. Jake decide così di tornare ai favolosi anni Sessanta, e nel mondo di Elvis e James Dean si lascerà coinvolgere in una missione straordinaria: fermare Oswald e salvare Kennedy. Sovvertendo per sempre tutte le regole del tempo e della Storia. 

UN TUFFO NEL PASSATO
Niente horror questa volta per il Re del Terrore. Un romanzo storico con un alone di mistero che ha molto più del thriller e del romanzo d’azione che del brivido.
Benché non sia il classico romanzo di King, o forse proprio per questo, è davvero una storia da 10, voto che viene assegnato anche da Antonio D’Orrico del Corriere della Sera che lo definisce “il più divino dei suoi romanzi”.
Jake Epping è un personaggio in pieno stile King: complesso, con un carattere ben delineato, umano soprattutto. La vicenda in cui si trova coinvolto lo spiazza e disorienta, non è neppure ancora sicuro di volerne far parte, vuole del tempo, ma proprio in una storia in cui il tempo è il protagonista, è proprio questo a mancare.
È una corsa contro il tempo quando viene a conoscenza che il suo amico Al non può più portare a termine la missione che aveva progettato e coltivato per anni, lo è quando deve verificare il funzionamento di questa insolita tana del coniglio, ma lo diventa in modo ancora più pressante quando ormai al di là del passaggio deve organizzare i suoi prossimi 5 anni per poter aspettare il momento giusto e intanto indagare per poter salvare la vita al presidente degli Stati Uniti. Ma sarà alla fine che con ritmo incalzante il tempo diventerà il vero nemico da sconfiggere, una corsa sfrenata verso la salvezza di un solo uomo che avrà conseguenze inimmaginabili per l’umanità.
Per chi non ama l’horror ma vuole sperimentare King, per chi ama King e non può assolutamente lasciarsi sfuggire questo romanzo, per chi vuole leggere qualcosa di travolgente: questa storia fa per voi!
La missione di Jake Epping che diventerà George negli anni Sessanta non sarà solo un lavoro da portare a termine, ma la sua stessa vita, perché nel periodo che trascorrerà nel passato troverà la sua vera dimensione, amici, amori, soddisfazioni e perfino l’idea per un nuovo libro.
Cosa deciderà di fare Jake/George e quali conseguenze avranno su di sé, sul Tempo e sulla Storia, potrete scoprirlo tuffandovi anche voi nella buca del coniglio della dispensa di Al. Buon viaggio!

P.S. La spiegazione finale sui passaggi temporali... non la commento, ma non ho gradito. Perché mi fai questo, King?Perché vuoi sempre spiegare tutto?!
Se lo avete letto o lo leggerete ditemi cosa ne pensate!
P.P.S. E poi quest’anno dovrebbe uscire anche la serie TV diretta da J.J. Abrams con James Franco come protagonista, volete davvero perdervela o vederla senza conoscere prima il libro? 

sabato 2 gennaio 2016

Il profumo - Patrick Suskind

"Il profumo"
Patrick Suskind


TRAMA
Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal momento della nascita, rifiutato dalle balie perché non ha l'odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché "non ha nessun odore", rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest'unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e noi lo seguiamo nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse, città dei profumieri nell'ariosa Provenza: sempre accompagnati da quella prosa sontuosa che consente a Suskind - geniale alchimista della scrittura lui stesso - di evocare all'ammaliato lettore colori, sfumature, sapori ed essenze, aromi, odori. L'ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l'amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a nulla.

QUELLO CHE HO RESPIRATO DALLE PAGINE

“Il matto vede col naso più che con gli occhi”.

Jean-Baptiste nasce respirando scarti di pesce, nasce tra il tanfo dei sobborghi parigini, muove i suoi primi passi tra balie dal sapore caldo di latte e cerca di sopravvivere all'orfanotrofio maleodorante in cui viene confinato. Il suo mondo è diverso, il modo in cui li percepisce è differente: non guarda le persone, le cose, i luoghi, li respira, e attraverso questi profumi conosce la realtà che lo circonda.

Ma tra un mondo pieno di odori disgustosi e pochi, rari, profumi sublimi di donne e la purezza del vento, vuole fuggire dalla società, confinarsi in un luogo che non puzzi di essere umano, ma abbia solo l’odore di terra, erba e vento. Fino al momento in cui non si rende conto di ciò che veramente ha segnato la sua vita, il motivo per cui né balie, né sorveglianti, né datori di lavoro riescono a tollerarlo. Benché non gli interessi affatto stabilire rapporti umani, ora finalmente gli è chiaro il motivo, e soprattutto la cosa lo sconvolge fin nel profondo. Proprio lui, l’uomo che riconosce ogni particella olfattiva nell’aria, proprio lui che vive solo di odori, lui non ha un proprio profumo.
Da qui prenderanno avvio i suoi tentativi di creare “Il profumo” per eccellenza, il migliore mai realizzato, un profumo che superi perfino quello di Dio.
Ho letto “Il profumo” in un paio di giorni, avidamente, quasi trattenendo il fiato e al contempo respirando ogni singolo aroma che le pagine trasudavano. Non si legge, si respira.
Confesso di avere una spiccata predilezione per l’olfatto, motivo che – oltre a coloro che mi hanno incoraggiata a leggerlo con entusiasmo – mi ha spinto a scegliere questa lettura. Niente affatto pentita, ma anzi, totalmente ammaliata da questo universo, posso solo dire che è un libro magico, incantevole. È un romanzo di passione e di ricerca, si muove nel mondo aleatorio e travolgente degli odori, in quella parte della nostra mente che non può razionalizzare, ma che si limita a sentire e che istintivamente conosce.

Meraviglioso.

venerdì 1 gennaio 2016

Dichiarazione d'intenti

Ci siamo, una nuova alba è sorta, si sono spalancate le porte su un nuovo anno, che, almeno su un piano di ritualità, segna il passaggio dal vecchio al nuovo, da qualcosa che si conclude a qualcos’altro che è pronto ad iniziare.
La Spaccialibri nasce e vuole condividere, con chiunque sia qui a leggere questi miei deliri, i propositi letterari per l’anno appena iniziato.
Si partirà innanzitutto con le cosiddette “recensioni”, ma (come potete leggere nella sezione apposita) non si tratterà di una valutazione da critica letteraria. Sono del parere che la lettura sia così meravigliosamente impareggiabile proprio perché siamo noi a trasferire alle pagine un significato e un vissuto del tutto nostri, in un modo squisitamente personale da far sorridere l’autore (se lo sapesse) nello scoprire di non conoscere neppure lui stesso così bene la propria opera. L’arte è questo dopotutto, qualcuno che veicola un significato aperto e qualcun altro che lo rielabora e lo rende proprio.  

Tutto questo è bellissimo, sì, ma di quali libri stiamo parlando?
Domanda legittima. Ci sono alcuni libri letti nell’anno 2015 che mi hanno particolarmente colpito, dei quali mi piacerebbe condividere con voi le impressioni e le citazioni, consigliandoveli (o meno) con tutto l’ardore di cui sarò capace.

Ecco dunque una piccola classifica dei libri che hanno segnato questo mio 2015:
  1. Il profumo di Patrick Suskind (meraviglioso! Uno dei libri più belli di quest’anno appena concluso e di cui pubblicherò presto la “recensione”);
  2. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (capolavoro, spaventoso, brillante, geniale. Non lo avete letto? È tempo di rimediare! Per ogni appassionato lettore è un tassello immancabile!)
  3.  La sottile linea scura di Joe R. Lansdale (anni ’50, un romanzo familiare, un giallo, un mistero da pelle d’oca e una splendida opportunità per fermarsi a riflettere su tematiche ancora attuali)
  4. Il lupo della steppa di Hermann Hesse (in rilettura, ma tutte le volte conferma il suo posto tra i miei libri preferiti in assoluto!)
  5. Mucchio d’ossa di Stephen King (è scritto da King, ha come protagonista uno scrittore, ambientato in una cittadina che nasconde dei segreti e… beh, è scritto da King!)
  6. Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen (uno dei classici imperdibili che ancora non avevo letto e a cui sto ponendo rimedio. Mi ha stregato!)
  7. Pet Sematary di Stephen King (un altro di King, davvero da brividi!)
  8. La principessa di Ghiaccio di Camilla Lackberg (un giallo scandinavo, moderno, inaspettato)
  9. Madame Bovary di Gustave Flaubert (un altro classico, una protagonista che suscita sentimenti controversi ma che proprio per questo risulta più vivida e concreta di molti “personaggi”)
  10. Tutto ciò che vi devo di Virginia Woolf (raccolta di lettere, raccolta di frammenti di anima piena di vita).

Oltre a parlarvi più approfonditamente di molti di questi romanzi, partiranno a breve un paio di rubriche, altrimenti dette “appuntamenti variabilmente fissi”, nel senso che dovrebbero venir fuori appuntamenti settimanali (maggiori info nella sezione “Rubriche”).
E poi ci sono in cantiere (per ora nel mio cervellino che macchina febbrilmente) altri progetti e idee per condividere in maniera esponenziale la passione che ci accomuna. La brama di vita e di curiosità, questa necessità costante di leggere e tuffarci aldilà del portale che separa i mondi.
Buon inizio.

La Spaccialibri.