La rubrica “Iniziare con…” nasce con lo scopo di fornire
spunti utili per iniziare a scoprire alcuni autori partendo dal “Libro giusto”.
Spesso quando non si conosce un autore, soprattutto per i classici, si fa un
po’ fatica a scegliere da cosa iniziare, e da amici lettori e conoscenti mi
viene rivolta la fatidica domanda “Da quale mi consigli di iniziare?”, così
ecco un rubrica ad hoc.
Iniziamo con un’autrice che adoro e di cui ho letto buona
parte della bibliografia, senza contare che mi ha appassionato così tanto da
decidere di incentrare su di lei la tesi della triennale (Sì, non esagero, mi
piace davvero tanto!!!).
Di chi stiamo parlando? Scopritelo!
INIZIARE CON…
VIRGINIA WOOLF
Saggista e romanziera di ampia fama, Virginia Woolf si
rivela essere di frequente una lettura un po’ ostica, soprattutto a primo
assaggio. Quindi perché farsi spaventare dal primo incontro invece di scegliere
il libro adatto alle vostre esigenze? A mio avviso è davvero un’autrice
fantastica, con tematiche forti e profonde e con un amore per la scrittura da
lasciare incantati. Per non parlare del fatto che abbia lavorato tutta la vita
alla ricerca dello stile giusto, della tecnica di scrittura adatta a far
emergere l’animo umano. Non potete lasciarvela sfuggire per paura di iniziare!
N. B. Non vi consiglierò i classici come “Mrs. Dalloway”,
“Gita al faro” o “Una stanza tutta per sé” per una semplice ragione: che
possiate amarli oppure no, probabilmente nella vostra vita vi saranno già stati
consigliati o li avrete visti nelle librerie miliardi di volte, se non li avete
ancora presi vuol dire che non stuzzicavano affatto la vostra curiosità e non
ho intenzione di proporvi letture della serie “è un classico, va letto”, ma
libri che possano davvero entusiasmarvi e farvi avvicinare ad un autore che
conoscete ancora poco.
Quindi ecco a voi tre libri da cui potreste iniziare.
1. Notte e giorno – per chi cerca un romanzo
Il
peggio è che non aveva alcun talento per la letteratura. Non le piacevano le
belle frasi. Aveva persino una naturale antipatia per quel procedimento d’auto
analisi, quel perenne sforzo di capire i propri sentimenti ed esprimerli con
parole eleganti, appropriate e vigorose; il che costituiva invece una parte
tanto importante della vita di sua madre. Lei, al contrario, era portata al
silenzio; disdegnava farsi conoscere attraverso i discorsi, figurarsi dunque
per iscritto.
Questo il ritratto di Katharine Hilberty,
il ritratto di un nuovo frammento di Virginia Woolf.
Anima solitaria, Katharine non vuole
invenzione, immaginazione, solo realtà. All’amato, se così si può chiamare il
personaggio che lo rappresenta e con cui intesse una complessa storia d’amore
caratterizzata da sentimenti controversi, confessa di non volere assolutamente
che lui inventi storie su di lei, che fantastichi sul suo conto, individuando
in ciò “l’origine di tutti i mali”, “la ragione della nostra solitudine ”.
Come Virginia, Katharine è attratta
dall’indipendenza, dal mondo impegnato e vivo di Mary, attivista nella campagna
di emancipazione femminile. Ma come Katharine, anche Virginia non vuole
invischiarsi in questa lotta, non direttamente (lo farà solo negli ultimi anni
della sua vita): ha le sue idee e nei suoi incontri con i personaggi, reali o
del romanzo, non perde occasione per dare voce a tali riflessioni. Ma muoiono
qui, come la protagonista, Virginia è troppo immersa nella sua vita, nel suo
lavoro. Non è un caso che Katharine sia cresciuta tra i libri, con il retaggio
familiare della scrittura, con una biografia da scrivere, che tuttavia, nonostante
costituisca un punto di contatto con la figura materna, sembra gravare su di
lei: Katharine vuole altro, vuole una strada che sia propria e allo stesso modo
Virginia vuole creare un proprio percorso.
Notte e giorno per la sua autrice è un
esperimento: non è importante la trama, gli eventi della narrazione sono
marginali, ciò che conta è il mondo interiore dei personaggi, le sensazioni e
le emozioni che ciascuno prova. Soprattutto, Virginia, indaga la differenza
stridente tra come si appare e ciò che si è, cerca di scavare affondo nella
psiche del personaggio, nella verità dell’Io. Eppure odia l’introspezione, ma
proietta la necessità di conoscersi sui personaggi.
“Ti giuro che adesso, in questo preciso
istante, ti vedo esattamente come sei. Nessuno ti ha mai conosciuta come ti
conosco io… avresti potuto mai tirare giù quel libro proprio adesso, se non ti
conoscessi?”
“É
vero”, rispose lei, “ma non puoi sapere quanto mi senta divisa… quanto mi trovi
a mio agio con te e quanto sia sconcertata. L’irrealtà… il buio… l’attendere
fuori nel vento… sì, quando tu mi guardi senza vedermi, e neanch’io ti
vedo…vedo però”, proseguì in fretta cambiando posizione e aggrottando di nuovo
la fronte, “una gran quantità di cose, ma non te.” […] Ma lei non riusciva a tradurre
in parole la sua visione, perché non era un’unica forma a colori su un fondo
buio, ma piuttosto un’eccitazione generale, un’atmosfera e, quando cercava di
visualizzarla, prendeva le sembianze di un vento che sferzasse le pendici delle
colline settentrionali e gettasse bagliori sui campi di grano e le pozze
d’acqua. “Impossibile”, sospirò ridendo per l’assurda idea di tradurre ciò in
parole. […] “Mi sto esprimendo in un linguaggio insensato… Quel genere di
linguaggio insensato che si parla con se stessi.” Era sgomenta per l’insieme di
desiderio e disperazione che vedeva sul volto di Ralph. “Stavo pensando una
montagna nell’Inghilterra settentrionale”, azzardò. “No, è troppo stupido… Non
ho intenzione di continuare. […] Non ti posso spiegare.” No, non poteva spiegare che lassù era del
tutto sola. “Non è una montagna nell’Inghilterra settentrionale. E’ un’immagine
fantastica…una storia che si racconta a se stessi.
Intrecci di storie d’amore e vite
familiari, passionali o concrete, vibranti nella loro autenticità, con tutta la
paura di inciampare in un sentimento nuovo, sconosciuto, che mette soggezione e
viene visto come un limite, ma si scoprirà essere invece una possibilità di
essere completamente se stessi.
Una storia che merita di essere letta, che
ha il sapore dei romanzi delle sorelle Bronte e della Austen, romanzi
introspettivi in un ambiente che guardava alla superficie.
“Pensavo a te… sì, lo giuro. Sempre a te, ma
assumi forme così strane dentro di me. Hai distrutto la mia solitudine. Devo
dirti come ti vedo? No, dimmelo tu… dimmi tutto dal principio”
2. Diario di una scrittrice – per chi desidera
conoscere Virginia dall’interno
I diari sono i compagni più fedeli e
instancabili dell’autrice. In questa raccolta, realizzata dal marito Leonard,
possiamo assaporare realmente lo spirito tormentato di Virginia, come donna,
come persona, come anima combattuta, ma soprattutto come incontentabile
scrittrice, alla ricerca dello stile perfetto, che progetta e crea una storia
dopo l’altra, che si lancia all’interno della scrittura e sfugge dal mondo.
Non spenderò troppe parole su questo libro,
ma personalmente è stata una lettura impareggiabile. Un’occasione per sentirsi
lì, accanto a lei, nella sua stanza, tra il letto in cui si disperava durante
le sue emicranie e lo scrittoio su cui avidamente scriveva fino allo strenuo
delle forze.
Sto
cercando di dire a quella me stessa che forse leggerà un giorno queste righe
che so scrivere molto meglio; che in queste pagine non spreco tempo; che le
proibisco di consentire a occhi umano di leggerle. E ora posso aggiungere il
mio piccolo complimento, e cioè che hanno un loro vigore spericolato e talvolta
fanno centro in bersagli impensabili. Ma quel che più conta è la mia
convinzione che l’abitudine di scrivere così, solo per il mio occhio, è un buon
esercizio. Scioglie le giunture. […] Per di più mi appare in lontananza l’ombra
di non so che forma alla quale potrebbe giungere un diario. Potrei, con l’andar
del tempo, imparare che cosa si può farne, di questa materia di vita slegata e
vagante; trovarvi un altro uso oltre quello per cui la impiego adesso, tanto
più consapevolmente e scrupolosamente, nella narrativa. Che tipo di diario
vorrei fosse il mio? Un tessuto a maglie lente, ma non sciatto; tanto elastico
da contenere qualunque cosa mi venga in mente, solenne, lieve o bellissima.
Vorrei che somigliasse a una scrivania vecchia e profonda o a un ripostiglio
spazioso, in cui si butta un cumulo di oggetti disparati senza nemmeno
guardarli bene. La
vita è, per dirla con cura e misura, una faccenda stranissima; ha in sé
l’essenza della realtà. Lo sentivo da bambina; una volta non riuscivo a
superare una pozzanghera, perché pensavo: “Che strano; che cosa sono io?”, ecc.
Ma scrivendo non raggiungo nulla. Tutto ciò che voglio fare è prendere nota di
un curioso stato d’animo. Azzardo l’ipotesi che si tratti di quell’impulso che
è dietro un nuovo libro.
3. Le onde – per i più ardimentosi
Le onde è un libro sul tempo, e in una
visione più ampia è una allegoria della scrittura, del suo amore per lo stile,
per la forma, per cui aveva sempre usato la metafora delle onde. In quest’opera
ciò che conta è il ritmo, sopra ogni cosa. Il titolo originale era stato Le
falene, dall’idea per cui ciascun personaggio viene attratto da un’idea, da
un’immagine particolare attorno alla quale ruotano i pensieri. Ma il ritmo delle
onde prevale, il ritmo della scrittura si manifesta, e lo fa attraverso il
superamento del monologo interiore. Raggiunge l’impersonalità in quanto i sei
personaggi non sono individui, persone, ma simboli di vari aspetti dell’essere
umano. Il soliloquio dei personaggi, dove i pensieri coscienti si accavallano
con le immagini che fanno da sfondo e di cui anche i protagonisti sono
inconsapevoli, si alterna ad intermezzi lirici che evocano l’amore per la
lingua greca, la lingua di Antigone che compare nell’opera, intraducibile.
“-disse-” è l’unico modo in cui interviene
Virginia nel romanzo, mentre ciò che i personaggi dicono, pensano o fanno si
unisce nel loro flusso di parole. Virginia, però, lascia tracce di sé in
ciascuno, come in Rhoda, che fissa la sua bacinella di acqua piena di petali
bianchi, in cui rivede barche che navigano tra le onde; con esse gioca
aggiungendovi oggetti, un ramo per una zattera, un sasso per vederlo
risucchiato dall’acqua, una nave sola che è la sua rimane, solitaria, un faro da
aggiungere nel mezzo. È Neville quando egli rievoca un ricordo di Virginia,
l’uomo ucciso di cui aveva sentito parlare nella cucina, e il suo panico nel
fissare il tronco dell’albero che si deforma. È Jinny (così la chiamava Leslie
Stephen) che si guarda allo specchio, contemplando la sua magrezza, e non si
piace. E così anche Rhoda, che lo specchio non vuole neppure vederlo, perché
lei non è come le altre ragazze, lei non esiste, non è reale, lei viene scossa
dalla “violenza dell’emozione” . Come Bernard, è stravagante, fa sempre tardi,
si perde nelle proprie riflessioni, ma come Virginia, anche lui, viene
accettato, viene perdonato, perché incarna colui che racconta le storie. Come
Susan, Virginia “di ciò che più odia farà immagine e le seppellirà” ; Susan usa
la terra, Virginia la scrittura, seppellisce le sue immagini nelle parole,
perché attraverso di esse può porre fine ai pensieri che la tormentano.
Virginia raggiunge l’obiettivo: con Le onde
crea il romanzo che più riesce ad esprimere il suo stile. Ci riesce proprio
perché qui compaiono i temi e le immagini che per tutta la vita l’avevano
ossessionata, le sue memorie di bambina, di scrittrice, di donna, appare la sua
percezione della realtà, quel suo intenso sentire che l’ha spinta verso la
necessità della scrittura.
Spero che questo primo appuntamento vi sia piaciuto e possa costituire un'occasione per avvicinarsi ad un autore con un'idea più chiara su cosa scegliere, ma soprattutto con quello spirito di curiosità e avventura che sprona ad ogni lettura!